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Premessa alla raccolta


Ogni poeta lo riconosci dalla voce, unica, inimitabile, ma ne puoi riprodurre il ritmo, il canto, rubandogli le pause o le riprese; così ti avvicini a quel che fa un pittore quando ritrae o ad un musico quando da un evento naturale astrae un canto. E il ritratto di un poeta pare anche più verosimile se usi la sua stessa voce. Certo poi entrano in ballo qualità mimetiche o profondità introspettiva e, forse, più ancora, capacità di sintesi, ma,  a mio parere, il ritratto riesce comunque meglio di una fredda descrizione perché ti costringe a entrare nel suo mondo e in un certo senso a farne parte. Quale presunzione rubare le parole ad un poeta! Quale pretesa riprodurne il canto! Eppure, ci sono cose che il poeta non sa o non può o non vuole dire di sé e che invece dovrebbero essere dette o per rendergli giustizia, o per chiarirne il senso o, semplicemente, per il piacere di raccontare. Ecco la genesi di questa serie di ritratti di poeti, non per identificazione né per emulazione, ma per profonda partecipazione umana, in alcuni casi, in altri per semplice curiosità.
Inoltre va detto che per un poeta il massimo è potere stabilire un confronto di poetiche, entrare cioè nel laboratorio altrui per carpirne i segreti o per meglio affinare la propria voce.



W. B. YEATS  (punti fermi e mobili)
Un irlandese vissuto d’animo,
uso a combattere con la birra e con i venti,
andava qua e là, il passo molto incerto,
cercando un punto fermo nell’infinito.


Un cane lo seguiva, lunghe orecchie,
pelo corto e grigio,
unico punto fermo il suo padrone.


E per la strada altri punti, luminosi,
mobili frecce accese dentro il buio.


Si volse l’irlandese, animo vissuto,
e guardò quelle luci:
gli parvero occhi che invitano, soli, stelle
e corse loro incontro.


Lo sfiorarono appena, in molti,
ma raggiunse il lato opposto
e sedette stremato.


Nulla sapeva il cane, lunghe orecchie,
dei pensieri che agitavano il padrone,
e lo seguì:
vide una luce immensa, e fu spavento.